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ACCOMPAGNAMENTO EMPATICO

Accompagnare empaticamente un animale alla fine della sua vita è la stessa cosa che fargli l’eutanasia?

Articolo scritto dal Dott. Stefano Cattinelli Medico Veterinario

Quando parliamo di accompagnamento empatico alla fine della vita del nostro animale significa che abbiamo scelto di non praticargli l’eutanasia ma di dargli la possibilità di morire spontaneamente da solo, quando vuole.

“Da solo e quando vuole” significa che non ci sarà nessun aiuto farmacologico o rimedio omeopatico che anticiperà la sua morte ma che sarà lui a scegliere quando morire.

Ci tengo a sottolineare questo passaggio perché troppe volte vedo che l’accompagnamento empatico viene confuso con un percorso che finisce inevitabilmente con l’eutanasia.

No! L’accompagnamento empatico non finisce con l’eutanasia.

L’accompagnamento empatico ha termine quando l’animale muore a casa sua di morte naturale circondato dall’amore di chi lo ha accompagnato fino a quel momento.

Accompagnare non significa accompagnarlo dal veterinario a fare la puntura ma significa attendere che muoia quando decide lui.

In questo articolo non ci occuperemo di affrontare il tema del dolore (discusso già nel seguente articolo:https://www.stefanocattinelli.it/single-post/2016/11/13/Le-basi-dellaccompagnamento-empatico-il-dolore ) ma cercheremo di entrare più in profondità riguardo al tema della scelta da fare e di quello che comporta per l’animale morire “quando decido io o quando decide lui”.

Ecco, proprio “quando decido io o quando decide lui” è il tema di questo articolo.

Partiamo quindi, senza ulteriori preamboli, prendendo in considerazione la prima parte della frase e cioè quella in cui sono io che decido quando il mio animale deve morire.

Quando sono io che scelgo per lui.

Se ci si ferma un attimo a riflettere sui ruoli che hanno da sempre caratterizzato la relazione con il mio animale ci si rende subito conto che “interpretare” il ruolo di colui che sceglie per l’animale, è una posizione interiore estremamente abituale.

Sono abituato a scegliere per lui.

Scelgo cosa dargli da mangiare; scelgo quando dargli da mangiare. Scelgo per lui le ore in cui si va a passeggiare, scelgo i luoghi dove poterlo lasciare libero e scelgo quando mettergli il guinzaglio, Scelgo che tipo di interventi chirurgici praticarli, che tipo di terapia, quali antiparassitari o integratori e che tipo di ambiente gli posso offrire per fargli trascorrere al meglio la sua esistenza.

All’origine della relazione c’è sempre un atto, un’azione, nei suoi confronti che nasce da una mia scelta.

Molto probabilmente, tra i tanti cuccioli, ho scelto proprio lui e ho scelto pure il suo nome. Oppure ho scelto di confermare il nome che aveva già.

Oppure, anche se l’ho incontrato “casualmente” lungo la mia strada, sono io che ho scelto di accoglierlo nella mia vita.

“Interpretare” il ruolo di chi sceglie mi è davvero abituale nel relazionarmi con lui.

Questo, ovviamente, è un bene assoluto perché il ruolo di chi sceglie comporta necessariamente lo sviluppo di livelli di responsabilità sempre maggiori nei confronti dell’animale che vive con me: banalmente a partire dalle domande che mi faccio e dalle risposte che trovo riuscirò a scegliere un tipo di alimentazione il più consona possibile alla biologia dell’animale e questo aumenterà lo stato di benessere dell’animale.

Il senso di responsabilità è direttamente proporzionale al benessere dell’animale: più sono responsabile riguardo alla sua vita e più il mio animale incentiverà il suo livello di ben-essere. Questo è un punto fermo nella relazione Uomo-Animale.

Dobbiamo sapere però che nell’evento dell’accompagnamento empatico ci imbattiamo in un’esperienza diametralmente opposta.

Perché parlo di esperienza diametralmente opposta?

Perché l’accompagnamento empatico è il percorso che ci guida verso l’esperienza che, per sua natura, è l’opposto della vita e cioè la morte.

È quell’ultimo pezzo di strada che facciamo insieme, quello sicuramente più difficile, più intenso, più emozionalmente coinvolgente, più devastante e allo stesso tempo, se fatto con consapevolezza e presenza, il più foriero di cambiamento e di trasformazione.

Paradossalmente l’esperienza della sua morte, se vissuta fino in fondo nell’accompagnamento, può rappresentare davvero un momento di svolta della vita dii ognuno di noi.

La prima trasformazione, piccola o grande che sia, sta sicuramente proprio nel fatto che in questo frangente, poiché si va incontro all’esperienza che è opposta alla vita, mi viene chiesto di sperimentare l’esatto opposto di quello ho sperimentato fino a quel momento.

Se fino a questo momento ero io che guidavo la relazione attraverso le mie scelte, nell’accompagnamento empatico è il mio animale che mi guida attraverso il mistero della sua morte.

Questa affermazione non vuole assolutamente essere una provocazione quanto piuttosto rappresenta il frutto della mia ventennale ricerca scientifico-spirituale in questo campo,

Più sarò in grado di abbandonare quelle parti di me che vogliono dare una direzione all’evento, che lo vogliono controllare, che vogliono scegliere per l’animale e più l’animale avrà la possibilità di guidarmi nell’evento più importante della sua esistenza: la conclusione della nostra relazione d’amore.

Dopo vent’anni di esperienza in questo campo posso affermare con certezza che gli animali sanno esattamente come morire.

Attraverso il mio atteggiamento di accettazione di quello che gli sta capitando, passo dopo passo, avendo abbandonato progressivamente il “controllore” che è in me e permettendo all’animale di entrare nel suo ultimo periodo di vita in maniera fluida e progressiva, ecco che mi accorgerò che per l’animale, la morte, è davvero qualcosa di naturale; un evento che accetta profondamente a partire proprio dalla sensazione che le forze fisiche stanno progressivamente diminuendo.

Più gli diamo il tempo di entrare in contatto con la diminuzione della forza fisica, dell’energia vitale che si esaurisce e più creiamo le basi affinché lui possa “entrare” maggiormente nella naturalezza della sua morte.

Si, perché è della sua morte che stiamo parlando. So che può sembrare assurda un’affermazione di questo tipo…ma lui muore una volta sola.

Chi dunque ha, ancora una volta, il massimo peso nello svolgersi di questo evento?

Scegliere di accompagnare un animale alla conclusione della sua vita significa scegliere di “entrare” in una dimensione di saggezza e amore infinito che sa esattamente il momento esatto nel quale questa esperienza si deve concludere.

Per accedere a questo diverso livello di esperienza, il mio “controllore” non ha altre possibilità che mollare il posto di comando.

E allora faremo la scoperta che nell’accompagnamento empatico non sono io che decido; ma non è neppure lui! Chi “decide” è la Coscienza della relazione tra me e lui la quale muove, con Amore infinto, la conclusione della nostra relazione secondo i tempi e le modalità che hanno senso all’interno della mia biografia.

Solo attraversando fino in fondo l’esperienza della morte del mio animale mi offro la possibilità di accedere a nuovi livelli di coscienza.

E di Amore.

Grazie a lui.

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